FIA — passo tratto dal libro “Il vecchio e la ragazza” di Claudio Cisco

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passi tratti dal libro LA FINE DELLA CICOGNA

 

… Fia

Un orsacchiotto di peluche piccolino con uno sguardo timido ed impaurito, seduto, appoggiato sul muro della sua cameretta. Una bambola grande e strana con un’espressione da far paura, inquietante e misteriosa, quasi fosse venuta dal nulla, con due occhi di ghiaccio e con addosso soltanto le mutandine, sembrava la bambola assassina, un po’ sadica e un po’ sexy. Un paio di posters attaccati al muro raffiguranti i volti di idoli musicali, belli come divi da fotoromanzi. Qualche strano disegno che mostrava tombe, cimiteri, sangue, atmosfere surreali ed indecifrabili, almeno a prima vista. Più sopra, in un angolo del muro, attaccato ad un chiodo, uno scheletro di gomma, color verde fosforescente, che penzolava ondeggiando qua e là, muovendosi più forte quando v’era una corrente d’aria ma che non incuteva molta paura, pareva appartenere ai cartoni animati più che ai films dell’orrore. E poi, sulla scrivania, un computer portatile nuovo con la relativa tastiera, dei libri, quaderni, parecchie foto in cornici col suo viso in diverse e svariate espressioni. Un astuccio aperto con dentro un sacco di penne e matite sparse qua e là, alcune delle quali per terra. Un televisorino piccolo ma di bell’aspetto col telecomando, un videoregistratore, dei cd, un cellulare e lì vicino uno stereo di dimensioni ridotte ma di valore, molto sofisticato e tecnologicamente avanzato. Continuando a girare con lo sguardo per quella cameretta di inequivocabile fisionomia giovanile, vi si poteva scorgere un lettino per una sola persona con delle lenzuola bianche lo stesso colore del cuscino ed una coperta più scura, molto leggera, abbassata sino a metà letto. Sopra vi erano vestiti d’ogni tipo e per ogni stagione, da notte e per uscire, molti dei quali sarebbero dovuti stare dentro l’armadio e non lì sopra. L’armadio vi era, ovviamente, in quella stanza ma si presentava con uno dei sportelli aperti che lasciavano vedere un’infinità di vestiti ed indumenti vari, uno sopra l’altro, così come capitava, alcuni arrotolati come fogli di carta straccia senza alcun ordine e la benché minima cura. Quella stanza, al primo sguardo, era il ritratto del disordine che regnava ovunque e in qualsiasi cosa. E lì dentro, davanti allo specchio più impolverato che lucido, vi era lei, bellissima con i suoi quindici anni compiuti da due mesi, lei che col suo aspetto annullava, come per magia, tutto il disordine che vi era intorno concentrando su di essa grazia, armonia, giovinezza. Prepotente, catturava quello sguardo indagatore che poco prima frugava fra le cose della sua stanzetta. Vi riusciva con la vitalità e la sensualità della sua età, rendendo lecito e giustificabile, tutto ciò che di sbagliato e di fuori posto vi era lì dentro. Lei ora rappresentava il centro, il motore, la parte principale di quella stanza come se tutto vi ruotasse intorno. Lei, l’adolescente, indiscussa protagonista, attrice, stella del firmamento, giovanissima dea nata per amare ma soprattutto per essere amata. Quell’ipotetica telecamera nascosta dentro la sua camera adolescenziale per spiare le sue cose, il suo mondo che io stesso era come se avessi piazzata, ora non poteva che soffermarsi su di lei mentre si guardava allo specchio, in quella mattina inoltrata d’agosto. Quando una ragazza o una donna in genere, si alza dal letto, senza trucco e tutta in disordine, mostra realmente il suo fascino o la sua bruttezza, senza inganni, senza maschere. È proprio in quel momento che appare come realmente è, come un’attrice dietro le quinte di un palcoscenico, finita la recita. Lei, la quindicenne, era bella e provocante anche in quel modo. Lunghi capelli neri lisci e lucenti le coprivano le spalle, delicatamente e con armonia come una giovane puledra con la sua criniera al vento che leggiadra, galoppa libera tra i campi, talmente viva e ammaliatrice da lasciarsi correre dietro mille stalloni. Apparivano spettinati quei capelli ma soltanto in fronte e sulla parte alta della testa, era un leggero disordine che anziché richiamare alla negligenza e alla noncuranza come tutta la sua stanza, riconduceva meravigliosamente ad una bellezza giovanile e precoce, ad una sensualità gitana, vibrante, animalesca e selvatica, ritratto di una creatura figlia della concupiscenza ma ricca di celestiali virtù, come angelo del diavolo. Vista da dietro mentre continuava a specchiarsi, pareva una giovanissima tigre che ruggisce ma anche una tenera gattina che fa le fusa. Tutte sensazioni contrastanti che, agli occhi di chiunque la spiasse, penetravano come una lama appuntita nella carne lasciando un brivido sulla pelle, come il ghiaccio sulle foglie che, sciogliendosi, lascia gli alberi a tremare. Ma queste vivide e laceranti sensazioni, potevano essere avvertite e decifrate, soltanto da chi possiede l’arte nel sangue, nel proprio Dna, da chi ha innato dentro quell’erotismo prorompente ed inarrestabile che porta a guardare una donna, in questo caso una ragazza, con gli occhi della magia e del desiderio. Desiderio che non nasce dal peccato come vorrebbero farci credere, ma dal candore dell’innocenza che spruzza sensualità da tutti i pori. Tutta questa autentica forza della natura, può offrirla solo la giovinezza che fiorisce, l’adolescenza che rapisce e trasporta con sé in mondi inesplorati e che non è mai sinonimo di volgarità ma sempre espressione di felicità, gioia, paradiso terreno. Cosa c’è di più bello su questa terra e forse anche in cielo, dell’ammirare un giovane corpo d’adolescente che è arte, armonia, bellezza, piacere? È l’essenza stessa della vita, il vero motivo per cui vale la pena vivere.

… Fia

Ora la ragazza afferra un pettine e prova a schiacciare verso il basso, aiutandosi con la mano, quei suoi capelli alzati in aria come cresta di gallo, dopo una notte di sonno. Ma non ve ne era proprio bisogno. A quindici anni si è belli sempre e comunque, specie se si è come lei. Ora guardava se stessa allo specchio come se si trattasse di un’altra persona, di un’amica, di una coetanea ma non si giudicava, ormai sapeva benissimo da sempre, di essere desiderabile ed attraente e ne era felice, ne andava orgogliosa come il pavone quando si muove con tutte le proprie grazie. I suoi occhi neri, penetranti, ancora addormentati come chi si è svegliata da poco senza neanche sciacquarsi la faccia per svegliarsi del tutto, si presentavano lucidi e dilatati e in quell’attimo, non sembravano quelli di una ragazzina che osserva curiosa la vita con l’ingenuità disarmante dell’età, ma piuttosto davano l’impressione di essere quelli di una donna matura ed esperta, che li apre dopo una infinità di orgasmi assaporati tutti in un’unica notte. Senza l’ombra del trucco, senza maschere di fondotinta, senza il rossetto che brilla sulle labbra, lei appariva ancora più giovane dei suoi quindici anni, più piccola che mai e, per questo, più seducente, più maliziosa.

Quando la natura decide di regalare ad un’adolescente la bellezza, questa esce fuori sempre, con o senza trucco che può eventualmente servire, solo per trasformare la piccola ingenua bambina in una giovane donna creata per l’amore, ma nel primo come nel secondo caso, è la giovinezza che trionfa unita alla bellezza e al desiderio. Ora la ragazza apre un po’ di più gli occhi, poi leggermente anche le labbra facendo uscire fuori ma solo per un attimo ritraendola immediatamente, la punta della sua lingua che, come una susina ancor acerba o una piccola anguilla, sarebbe stata capace, contro ogni moralità, di risvegliare persino gli istinti repressi d’un prete. Le sue labbra violacee, carnose e infantili al tempo stesso, erano talmente seducenti che anche lo specchio pareva diventare vivo come volesse avvicinarsi per unirsi a lei, e quel desiderio sarebbe stato lo stesso di chiunque si fosse trovato lì in quel momento ad osservarla di nascosto.

Forse avrebbe venduto per l’eternità l’anima al diavolo in cambio di una frazione di secondo nella quale poter appoggiare le sue labbra a quelle della ragazza. Del resto, quelle sensazioni che avrebbe provato in quell’istante, paradisiache, sarebbero valse assai di più delle sofferenze eterne dell’inferno. Ed io mi chiedo, a tal proposito, il motivo per il quale molti giovani siano tristi e insoddisfatti. Non riesco proprio a comprendere perché cerchino piaceri artificiali nella droga, nell’alcool, nel ritmo assordante d’una discoteca o nel rombo d’un motore da corsa. Ma perché non provano invece, loro ai quali l’età ancora lo consente, a baciare le labbra di una bella ragazza? Ma esiste al mondo forse, una droga o un paradiso più bello? più naturale? Non solo non fa per niente male ma ha anche il potere di elevare l’anima e il corpo, fin quasi a rendere immortali. E ancora mi rendo conto di quanta stupidità vi sia nella vita di clausura, nella castità, nella rinuncia ai piaceri del sesso e dell’amore per godere poi di una ricompensa in una ipotetica vita futura. Ma esiste una grazia o una gioia più pronta ed immediata del bacio di una quindicenne? È questo il paradiso, è già qui su questa terra, a portata di mano, non ne servono altri, non c’è alcun bisogno di cercarlo altrove o in altri mondi. È la sensazione che si proverebbe, non è forse un dono di Dio per arricchire i sensi e l’anima? Ma ecco che ora, sempre davanti allo specchio, l’unico fortunato al quale è concesso di ammirare le sue grazie, la ragazza sbadiglia una volta, poi una seconda ancora, allargando le braccia sia a destra sia a sinistra, portando avanti il petto, mostrando in tutta evidenza due seni adolescenziali ma già abbastanza formati, bellissimi che, anche se coperti dalla camicetta del pigiama, come due piccoli vulcani, sembrano rappresentare la creazione più bella di chi ha inventato il corpo d’un’adolescente, il più grande capolavoro artistico di tutti i tempi fatto da uno scultore, la parte più importante del quadro d’un pittore. Se qualcuno presentandosi lì in quel momento esatto, avesse avuto la fortuna e il tormento di osservarla in quel gesto e avesse avuto poi il permesso di palpare quei seni, riterrebbe la propria vita completa, poteva anche morire ormai, il destino non avrebbe potuto mai e poi mai riservargli gioie e sensazioni più forti di quelle già provate in quell’attimo. La ragazzina intanto sembrava essersi svegliata completamente, si tirava i capelli in su con le mani, faceva smorfie allo specchio come in un film muto, si abbracciava da sé, si piaceva. Quel viso un po’ da bambina, faceva già presagire la bellezza che avrebbe poi avuto da donna. Poi si alza di scatto dalla sedia e girando improvvisamente le spalle allo specchio come per dispetto, si guarda il suo sedere che, anche se coperto dal pantalone del pigiama color azzurro con palline bianche, le si mostrava perfettamente sodo e armonioso malgrado la giovane età. Anche quella parte del suo corpo, come ogni altra del resto, era perfetta e senza alcun difetto, pareva più forte di una calamita capace di attirare su di essa mille mani. Poi la ragazza smette di guardarsi, un’abitudine e un vanto che usava fare tutte le mattine, e poteva permetterselo data la sua bellezza, e comincia a guardarsi in giro rapidamente, osservando il solito inconfondibile disordine di sempre al quale era ormai abituata, anzi le sarebbe sembrato strano il contrario, e senza smuovere un dito per mettere a posto la benché minima cosa di là dentro, si sdraia a peso morto di colpo sul suo lettino con la faccia in su e gli occhi rivolti al soffitto, al posto del quale, a quell’età, si vede il cielo.

Rimane così immobile a pensare a tutto o forse a niente. È difficile entrare nei pensieri d’un’adolescente, soprattutto mentre la si osserva in quell’espressione. Non può farlo nessun bravo scrittore, non posso farlo nemmeno io. Quella ragazza così sconvolgente si chiamava Fia. Il suo nome di battesimo era Sofia ma a lei non è mai piaciuto scritto in quel modo, le sembrava la capitale della Bulgaria.

Avrebbe voluto chiamarsi Sophia semmai con la ph al posto della f. Ma, visto che non le era stato possibile, decise di farsi chiamare col diminutivo di Fia. Tutti i suoi amici e le amiche cominciarono a chiamarla così, e poi anche i suoi genitori si abituarono a farlo. Così per tutti, ormai lei era Fia.

 

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… Fia

E così mentre i suoi genitori erano usciti a fare delle compere ad Enna, lei era rimasta da sola (e non era una novità) nel suo insignificante paese di Leonforte. Sdraiata sul suo solito lettino, in quel caldo e soffocante pomeriggio, ora si abbandonava senza più pudore o reticenze di nessun tipo, al piacere più completo, più totale, lanciando finalmente i suoi sensi in libertà come una vispa puledrina che scioglie le briglia e galoppa via libera. In quindici anni non l’aveva mai fatto né con qualcuno né da sola e soltanto ora si rendeva conto di quanta ricchezza avesse perduto. Nella vita è meglio avere rimorsi che rimpianti, lei lo capiva solo adesso. Non vi era nessuno vicino ma se ci fosse stato, sentiva che l’avrebbe fatto in quell’attimo.

Vi era lei, bellissima come sempre. Fia era narcisista, si amava, si piaceva, si desiderava, ora finalmente voleva darsi quello che per troppo tempo, per colpa di sciocche ed ingiustificate paure, aveva rinunciato a darsi, quel piacere che la stava aspettando a braccia aperte. Nella vita si può morire anche da giovani e lei non voleva crepare senza aver conosciuto un momento così bello. In verità non sapeva se fosse bello ma era convinta che potesse esserlo, lo sentiva dentro, il pensiero doveva materializzarsi, solo così lei poteva ritenersi appagata, solo così poteva capire quanto la realtà, in questo campo, sia superiore alla fantasia. Era il suo corpo che la supplicava a farlo, non poteva dirgli di no! Si sarebbe fatta del male, ferita e forse anche uccisa. Non vi era più in lei il contrasto mente-corpo, ragione-istinto, sembrava tutto meravigliosamente uniforme, proiettato verso un’unica precisa direzione, quella del piacere, la legge dei sensi, dell’istinto, dell’animalità presente in ognuno di noi. In fondo anche l’essere umano è un animale, si accoppia proprio come le bestie, nello stesso modo, guidato dallo stesso istinto. Forse qualcuno ha inventato il sentimento col solo scopo di sublimare il sesso e tutti, come sciocchi, gli hanno creduto. Perché la piccola Fia avrebbe dovuto rinunciare al piacere? Perché bloccarsi ancora? In nome di cosa e in sacrificio di chi? Cosa poteva succedere di male se l’avesse fatto? A chi avrebbe dovuto dare conto? Fia ora è sola, completamente sola, solo lei e il suo meraviglioso corpo, il suo corpo e lei. Era talmente giovane e bella che si eccitava di se stessa, col suo stesso corpo. Non aveva bisogno di immaginare qualcuno vicino, c’era lei stessa che valeva di più di chiunque altro. Non esisteva nessun’altra ragazza in tutto l’universo che potesse amarsi da sola con lo stesso trasporto, con lo stesso amore di Fia. E come poteva non desiderarsi così giovane e bella? No! Non era solo narcisismo e neanche perversione ma soltanto abbandonare tutto e tutti e dedicarsi finalmente a se stessa. Cosa c’è di scandaloso nell’amore col proprio corpo? In fondo non si stava drogando, non stava bevendo o fumando come tanti altri suoi coetanei. No, lei non aveva bisogno di tutto questo, si bastava da sola, non aveva bisogno di nessuno, si sentiva libera e felice così. Stava per scoprire un piacere naturale intenso e sconvolgente che si mostrava a lei in tutta la sua bellezza ed irruenza. Un piacere che lei poteva riavere ancora e poi ancora, tutte le volte che avrebbe voluto, senza coinvolgere nessuno, chiusa nella pace della sua stanza, nel dolce silenzio di un segreto, nella piacevole intimità del suo lettino. Fia voleva assaporare quel momento e goderselo fino in fondo. Sentiva che era il momento giusto, non si poteva più rimandare, ora o mai più, il suo corpo non poteva aspettare, lei attendeva lei stessa. Fia ora abbassa piano il reggiseno scoprendo due seni splendidi da adolescente che chiunque avesse avuto la fortuna di toccare, avrebbe sfiorato Dio e l’universo intero. Questa immensa fortuna era riservata a lei e solo a lei, erano i suoi e chi più di lei ne aveva diritto? Ed è quello che fece passando quelle manine delicate e curate su di essi e non poté fare a meno di chiudere gli occhi e sospirare. Abbassò lentamente le mutandine di colore bianco, vergine come quello d’un abito da sposa, scoprendo una peluria nera, lo stesso colore dei suoi capelli, che appariva come un piccolo paradiso, l’eden dove nessuno finora aveva potuto metterci piede. E sotto quei peli simili ad una minuscola ma folta boscaglia, vi era il cuore, la sorgente di tutti i suoi desideri, l’inferno e il paradiso insieme, il centro della vita, il principio e la fine, il posto dal quale ha inizio la storia di ogni essere umano e Fia si rendeva conto che l’uomo è figlio del piacere e di nessun altro, esiste grazie a quel momento, a quel sospiro. Ora quel posto mai esplorato era il suo Dio, il suo creatore, la fonte di tutto. Esitò ancora un attimo ma per l’ultima volta, vittima dell’ultima sciocca debolissima paura e poi annientò in un momento ogni pudore, ogni dubbio e lasciò che quella mano d’adolescente dalle dita affusolate e ben curate, quella mano che chiunque avrebbe voluto sentire sul proprio corpo, sfiorasse lentamente e delicatamente il centro del suo piacere, abbandonandosi completamente a se stessa. Divaricò leggermente quelle gambe bellissime d’adolescente, lisce, morbide, calde che chiunque sarebbe impazzito soltanto se le avesse viste senza neanche poterle sfiorare con le mani, chiuse gli occhi e diventò preda inerme del piacere più intenso, più naturale del mondo. E fu un piacere fortissimo che la piccola grande Fia, ad un certo punto, sentì di non reggere, di non farcela più, di venir meno. Era il primo orgasmo della sua vita, il suo corpo non era abituato, non lo conosceva ancora, non era preparato. Per questo fu intensissimo e sconvolgente, tale da essere ricordato per tutta la vita, superiore anche al primo rapporto sessuale. Fia ora sentiva che l’orgasmo stava avvicinandosi. Lo capiva perché stava veramente male, meravigliosamente male, avrebbe anche potuto morire in quel momento e sarebbe stato bellissimo, non potrebbe esistere morte più bella, una morte unita alla vita, al piacere. Morire con quelle sensazioni e portare il loro ricordo nell’aldilà, se esiste, e paragonarle con la bellezza di Dio, per decidere poi, quale delle due si era rivelata più bella. Il suo cuore batteva fortissimo come un tamburo, sembrava volesse scoppiarle in petto da un momento all’altro, quelle pulsioni si avvertivano nelle vene del suo collo, sulle tempie. Non poteva fare a meno di muoversi, di dimenarsi come un’ossessa, il piacere era troppo forte, troppo intenso per poter star ferma. Afferrò il cuscino con le residue forze che le erano rimaste, lo strinse forte sulla sua faccia come volesse soffocarsi, poi appoggiò le labbra su un angolo dello stesso e lo succhiò come un neonato attaccato al biberon o al capezzolo della mamma. Era l’unico e solo modo per non urlare, per non impazzire dal piacere. Come una bomba atomica, come fuochi d’artificio, tutto quel piacere toccò il culmine ed esplose nella maniera più naturale possibile, sotto forma di umori, di uno strano liquido che a Fia sembrò come una dolce ricompensa che il suo corpo le aveva dato ringraziandola per il piacere ricevuto, poi la piccola s’abbandonò, chiuse gli occhi restando così, emise un lungo respiro che andava scemando sempre più, il cuore cominciava a rallentare e a normalizzare i suoi battiti e il suo respiro diventava sempre più regolare. La mente era confusa, era stata troppo intensa l’emozione provata, era la prima volta, per questo sconvolgente, sconosciuta, inebriante. Nella sua breve vita, nulla le aveva dato un’emozione più bella e forte di quella appena provata. Quel giorno Fia non l’avrebbe mai più dimenticato, nel corpo e nella mente avrebbe conservato con sé quel ricordo, forse il più bello della sua vita. Fia ora era felice e sorrise, a quindici anni aveva conosciuto l’orgasmo e la vita le sembrò di colpo bellissima, come una cosa nuova e magica che le si apriva davanti con una nuova luce, nuove speranze, nuovi piaceri da scoprire. La sua esistenza non sarebbe stata più la stessa e neanche lei sarebbe rimasta quella di prima. Si sentì grande di colpo. Era stato bellissimo, non era morta, non era successo nulla di cui aver paura, ora anzi si sentiva meglio di prima. La natura sa quello che fa e rispetta le sue creature, al contrario della morale che invece le uccide.

“Ma come ho fatto ad aspettare tutto questo tempo prima di farlo?”,

pensò Fia ma non si seppe rispondere. Aveva scoperto qualcosa di nuovo, di cui non avrebbe potuto o saputo più farne a meno. Non riteneva possibile che il suo corpo potesse donarle tanto piacere. “Grazie Dio per avermi regalato tanta felicità così semplice da ottenere”,era l’unica cosa che si sentiva di dire in quel momento ed era sincera, sincera davvero. Era rimasta contenta, libera, soddisfatta, appagata. Al contrario della prima mestruazione che l’aveva disgustata e spaventata, questa nuova scoperta l’aveva totalmente presa e le era piaciuta.

Si riproponeva di farlo ancora più avanti, ancora e per sempre. Si domandava con una certa curiosità se anche le altre ragazze lo facessero e se provassero lo stesso piacere avvertito da lei. Una morbosa curiosità la spinse ad immaginare anche i ragazzi mentre lo facevano e lo trovò incredibilmente curioso ed eccitante. Poi, all’improvviso, come un fulmine che squarcia il cielo azzurro, si domandò: “Ma se è stato così bello farlo da sola con le mie dita, come sarà farlo con un ragazzo? E se al posto delle mie mani ci fosse il membro di un ragazzo dentro di me cosa proverei?” Questo pensiero la sconvolse di nuovo e la ragazza precipitò nello stesso stato in cui si trovava prima che avesse compiuto l’atto. Il suo cuore riprese a battere velocemente e più furiosamente di prima. Ora Fia, ripiombata di colpo nelle braccia del desiderio, non capiva più nulla e sentiva dentro di sé una leggera paura immotivata. Per un attimo le venne in mente una strana idea, pensò di uscire per strada, di fermare il primo che le capitasse di qualunque età anche vecchio purché non parlasse in giro, e di farlo, per provare quest’altra nuova sensazione convinta che la realtà sarebbe stata più bella della fantasia, lei già questo l’aveva sperimentato sulla propria pelle. Sì, la piccola Fia l’avrebbe fatto in quel preciso istante in cui lo pensò ma un altro pensiero sopraggiunse e la convinse a non farlo. Si stupiva la ragazza di aver anche solo pensato una cosa simile. Ma non era stata la follia di un momento, lei se ne stava rendendo conto perché nella sua mente offuscata e non più lucida, prepotenti s’affacciavano nuovi fantasmi che difficilmente avrebbe potuto scacciare. Nuovi pensieri ancora più oscuri ed inquietanti, ora sconvolgevano e distorcevano la sua immaginazione.“E se lo facessi con due ragazzi contemporaneamente? Proverei un piacere doppio, sarebbe fortissimo, e se lo facessi con una mia amica, in fondo che differenza ci sarebbe tra maschio e femmina. Il piacere non fa distinzione tra sessi. Le mie mani mi hanno dato sensazioni, perché non potrebbero farlo anche quelle di una ragazza? E se lo facessi a lei? Sì, sarebbe bellissimo, io saprei come toccarla. E se al posto di toccare le parti intime di una ragazza toccassi quelle di un ragazzo? E se anziché farlo con la mano lo facessi con la bocca come quando ho succhiato il cuscino?

Quel pensiero che fino a poco tempo fa le faceva schifo, ora la tormentava e la eccitava fortemente. La ragazza si poneva tantissime domande, alle quali però non riusciva a dare nessuna risposta. “Sì, lo farei, sono sicura che mi piacerebbe. Se mi batte forte il cuore quando lo penso, vuol dire che potrei farlo. Quasi quasi ora esco, fermo il primo che capita e gli dico: Senti scusa, posso toccartelo e succhiartelo? Non potrebbe dire di no ad una ragazza bellissima come me, crederebbe di sognare. No, ma cosa mi sta succedendo? Sto uscendo fuori di testa, ma come posso anche pensare una assurdità simile?” Ma non esiste logica che possa giustificare l’istinto. La povera ragazza in bilico tra desideri inconfessabili e sensi di colpa, era sconvolta, in uno stato pietoso. La nuova Fia appena nata, si ergeva maestosa puntando il dito contro la vecchia, cacciandola senza pietà, distruggendola, non volendola più con sé. Sui suoi quindici anni compiuti da poco, cadeva già il primo velo di follia, e che sussulti, che tremiti segreti in quelle sue inquiete notti di fanciulla, quando impaurita e rannicchiata si nascondeva sotto le coperte: la sua prima masturbazione non l’aveva ancora conosciuta, la spaventava ma se ne sentiva attratta,come una cosa nuova e sconosciuta: c’è d’averne paura ma la si va a cercare. La concupiscenza, sotto le sembianze d’una sensuale signora, la rendeva un giocattolo, un barboncino, strumento di piacere nelle sue mani esperte. Ma quella intrigante signora, era per la piccola Fia una regina, la vedeva danzare nei suoi sogni bagnati d’adolescente. Ma paradossalmente voleva svegliarsi da quell’incubo, da quel ghiaccio che l’assaliva. Cercava in lei stessa una via d’uscita ma non esisteva fuga e non c’era posto per nascondersi, non poteva proteggersi. Diversa da ogni altra ragazza della sua età, completamente persa in quella sua terra di nessuno fatta soltanto di solitudine, percepiva che tutto intorno a lei taceva in un silenzio irreale, come un urlo senza voce. Vi era soltanto la sua follia, forse chiara e consapevole, cupe ombre minacciose che si addensavano su di lei travestite da un’atmosfera di lucida estasi. Era il dramma della sua ansia angosciante, la disperazione di tutto il suo essere, forse creato da Dio ma poi lasciato a se stessa, priva di identità, priva di vita, impossibilitata di comunicare, di capire e farsi capire. E continuava a vagare senza meta tra i labirinti della sua mente, immaginando di fare con chiunque sesso senza amore lasciando entrare in lei col pensiero una infinità di corpi uno dopo l’altro, osservando disperata riflesso in uno specchio, quel fantasma che vi era al posto suo. Fia non avrebbe voluto mai essere nata, voleva chiudere gli occhi e scomparire in un attimo, un nuovo e brutto inverno era in lei e le dava la sensazione di crollare da un momento all’altro come una foglia che stava per staccarsi dai rami. La ragazza non trovava le parole per spiegare ciò che aveva, ogni cosa intorno le appariva sadica e crudele. Inutile sforzarsi di essere normale, non poteva fingere a se stessa, non avrebbe mai funzionato. Trascinata dentro un labirinto enorme, aveva l’impressione di vedere stanze tutte uguali, e in ognuna di esse, la attiravano piaceri sempre nuovi. Sembravano dirle: “Entra da noi, esaudiremo qualunque desiderio, non importa che sia proibito o illecito, vedrai sarà bellissimo”. Sbagliare è facile quando un essere umano non sa più chi sia e la ragazza, straniera per sè stessa, non ha saputo o potuto dire no e si è persa in un vicolo cieco. La strada ammaliante del piacere, ora le veniva incontro senza ostacoli, preda inerme della concupiscenza, Fia toccava il fondo pensando di raggiungere la cima. Ormai era schiava del suo istinto, intrappolata nella sua angoscia, vi era un’ombra che la inseguiva, dovunque andasse non la lasciava mai. Era come una danza infernale nella quale, senza fermarsi mai, giravano intorno a lei fantasmi ed incubi. Fia avrebbe voluto scoprire l’origine di quel suo oscuro tormento, avrebbe voluto combattere quelle sue tentazioni, fino a giungere faccia a faccia, con il volto più inquietante del suo male. Sì, voleva scavare nei suoi profondi abissi, tirare fuori il demone a cui apparteneva, e a costo d’impazzire, si sarebbe salvata, sì, avrebbe giurato che ce l’avrebbe fatta, che sarebbe riuscita a salvarsi. Ma in quel momento, si trovava posta esattamente al centro d’una corda, tirata ai lati da lussuria e innocenza. Come un verme strisciava per terra e baciava i piedi del demonio, poi di colpo s’alzava in volo e abbracciava Dio, in bilico tra inferno e paradiso, tra ciò che gli altri chiamano male e il bene, dannata, salvata, ma dannata ancora. La sua anima smarrita, perversa, ora sprofondava dove non vi era luce, nuda nuotava sott’acqua, non riemergeva più. Forse cercava solamente, un’anima che la comprendesse. Fia, disperata, al limite della follia, non capì più nulla e si sentì persa, tremendamente sola senza neanche più la compagnia di se stessa. Prese d’istinto il crocifisso che vi era appeso sul muro sopra il suo lettino, e lo strinse forte al petto seminudo. Forse inconsciamente, cercava una risposta o una consolazione da chi, come le era stato insegnato sin da piccola, era l’unico che potesse dargliela. E si lasciò cadere così, col crocifisso stretto a sé, distendendosi a peso morto sul letto.

Poi si disse sottovoce come se il pensiero parlasse: “Gesù che mi sta succedendo?”. La fede mischiata al desiderio erotico, renderebbe la mente d’un adulto totalmente incapace di comprendere. Figuriamoci quella di una ragazza di quindici anni. Il caldo era opprimente, ma ora Fia sentiva freddo, si sentiva sola e spaurita, svuotata come se le avessero strappato con forza l’anima come quando al mattatoio squarciano un capretto. Chiuse gli occhi e stanca s’addormentò come una principessa bellissima, ancora vergine nonostante tutto, attaccata a quel crocifisso che era diventato per lei il suo rifugio, il suo principe azzurro pieno di forza che ormai è vicino alla sua principessa.

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Un altro caldo pomeriggio estivo da passare chiusa in casa, completamente sola, in balìa dei propri assillanti pensieri. Ormai era sempre così per lei. Da quando però aveva scoperto le gioie del sesso soddisfacendosi da sola, non aveva più smesso di pensare a quello e non v’era momento della giornata in cui il desiderio o le fantasie più sfrenate non la rapissero. Perfino la notte, quando dormiva, sognava quello e sempre quello. Distesa sul letto, seminuda, lasciava che la sua fantasia galoppasse libera verso prati sconosciuti e senza fine, immaginando di tutto, senza limiti. Almeno il pensiero non lo si può criminalizzare, con la mente Fia avrebbe potuto fare sesso con chiunque e in qualunque modo, nessuno l’avrebbe scoperta o condannata. Sarebbe rimasto un segreto tra la sua mente e il suo corpo. Le più strane fantasie che potessero passare per la mente ad una ragazza, ora le si presentavano davanti con tutta la loro forza, sotto forma di tentazioni, di eccitazione violenta e incontrollabile e, ad ognuna di esse, faceva seguito una nuova frenetica pulsazione dei battiti del suo cuore che aveva ripreso a martellare scoppiandole in petto. Immaginava di essere di fronte a delinquenti brutti che la stupravano a turno, di trovarsi completamente nuda davanti allo sguardo di mille uomini di colore. Questi pensieri, se da un lato la terrorizzavano, dall’altro la eccitavano tantissimo. La fantasia ormai non conosceva più limiti. Immaginava di essere legata ad un letto e di essere presa a schiaffi e pugni, insultata, umiliata. Una fantasia che più che farle paura, la stimolava ancora. Immaginava di essere sodomizzata, un pensiero che le aveva fatto sempre ribrezzo perché animalesco e contro natura ma che ora, pensava le sarebbe piaciuto provare con chiunque le capitasse a tiro. Con la fantasia tutto è lecito e consentito, non si viene condannati e Fia continuava il suo viaggio senza sosta verso l’abisso o il paradiso. Era caldissima ma non per il clima, era il suo corpo in fiamme, era una brace di desiderio, capace di bruciare chiunque l’avesse toccato. “Ma chi può toccarmi all’infuori di me sola?”, pensava la piccola Fia, “Vivo in un paesino isolato dal mondo, peggio di una prigione”. Sì, una prigione e immaginava di trovarsi lì, bellissima e giovanissima, nuda sul lettino di una cella, palpata e violentata da detenuti che sicuramente dovevano avere una gran voglia, vista l’astinenza. Il terrore di trovarsi in quella situazione si mescolò al desiderio di volerci essere e la ragazza arrivò al punto di non capirsi più. Ma una fantasia si accavallava sull’altra senza un attimo di tregua che potesse farla respirare. Sembrava una mitragliatrice che sparava i suoi colpi a raffica, uno dopo l’altro, uccidendola senza pietà. Di tanto in tanto, le passava per la mente di provare a mettere in pratica qualcuna di quelle fantasie ma avrebbe dovuto trovarsi in una grande città dove nessuno la conoscesse per farlo e non certamente in quel paesino della Sicilia dove era conosciuta e stimata da tutti, come una santarellina tutta casa e chiesa. Ma quanto risultano sbagliati, il più delle volte, i giudizi che la gente dà su di noi. Ma risulterebbe difficile per chiunque giudicare una ragazza come Fia che, in fondo, nella realtà, non aveva avuto rapporti sessuali con nessuno. Un’altra ennesima prepotente fantasia, si affacciava nella mente annebbiata di lei. Si immaginò vestita sexy e provocante mentre camminava per le strade di una metropoli e che tutti la guardassero e la spogliassero con gli occhi del desiderio. Le è sempre piaciuto sapere di piacere, di suscitare emozioni. Fia si eccitava se sapeva di eccitare, si sentiva orgogliosa, potente, importante, grande.

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Così si alzò dal letto, cercò nella confusione della sua stanzetta, la gonna più corta che potesse avere e la indossò sostituendola al pantalone del pigiama. La vista delle proprie gambe mentre si sfilava i pantaloni per indossare la minigonna, la eccitò fino alla spasimo. Aveva sempre saputo di avere delle bellissime gambe, lisce, calde, tornite che, in quel momento, le parvero ancora più belle e le toccò delicatamente con le mani, poi ci posò sopra le labbra, la lingua. Quanto avrebbe voluto e desiderato che fossero le mani e la bocca di un altro a sfiorarla così come stava facendo da sola! Ma era sempre e solo lei. Indossò la gonna, si guardò allo specchio e si vide bellissima da far venire un infarto a chiunque l’avesse vista in quel modo. “Se uscissi così con questa gonna, magari senza slip sotto e sculetterei davanti al bar dove si siedono sempre quei vecchi bavosi di Leonforte, li farei morire tutti in un sol colpo, stecchiti come zanzare dopo una spruzzata di insetticida”. Questa fantasia la trovò non solo divertente ma anche eccitantissima. Si immaginò di essere seduta in minigonna e con mezzo seno di fuori, bellissima e giovanissima come sempre, sulle ginocchia di quei vecchi che le palpeggiavano le gambe, i seni, le natiche, tentando di infilarle le loro lingue in bocca. Formulò la conclusione che l’avrebbe fatto se la fantasia si sarebbe potuta trasformare in realtà senza conseguenze. Presto la voce si sarebbe sparsa in tutto il paese, sarebbe stato uno scandalo, in poco tempo l’avrebbero saputo anche i suoi genitori e chissà cosa avrebbero pensato di lei, la loro ingenua piccolina Fia. Non voleva dare loro questo dolore. Lei era una brava ragazza, erano i suoi pensieri che sfuggivano ad ogni logica ma obbedivano solo all’istinto. Se l’avessero scoperta a farsi mettere le mani addosso da quei vecchi, l’avrebbero tutti etichettata come “puttanella” oppure come “troietta” quella che se la fa con tutti, pure con i vecchi, Fia la “puttanella” di Leonforte.

Ma se quella parola prima l’avrebbe offesa e umiliata fino a farla piangere, ora le piaceva terribilmente, anzi essere chiamata in quel modo la eccitava ancora di più, e forse sarebbe stata felice e orgogliosa di essere considerata da tutti per quello, che anche se solo nella fantasia, si sentiva di essere. Finalmente l’avrebbero capita, compresa, riconosciuta. Non avrebbe mai più dovuto fingere con se stessa e con gli altri, ma era il giudizio che gli altri le avrebbero dato che la spaventava. Fia continuava a guardarsi allo specchio trovandosi bella e seducente. Avrebbe voluto indossare collant e reggicalze nere ma non ne aveva mai avute in casa e poi sarebbe stato un peccato coprire quelle bellissime gambe che aveva. Pensò però di truccarsi più sexy che mai, era curiosa di vedere come stesse, non lo faceva quasi mai, era sicura di diventare una vera bomba del sesso, non conosceva la parola modestia. I suoi non erano in casa e non avrebbe potuto vederla nessuno. Era diventata una strana ragazza Fia, viveva immersa nel suo mondo virtuale e sconosciuto a tutti nel quale nessuno poteva anche solo immaginare di entrarvi anche perché troppo difficile e complesso per essere decifrato. Esisteva solo lei, il suo corpo, il suo specchio e le sue fantasie e null’altro. Fia era isolata da tutti e da tutto, sia mentalmente sia geograficamente. Era tremendamente e spaventosamente sola. Alla base del suo comportamento vi era la solitudine, che colpisce chiunque e a qualunque età, sotto forme diverse, alcune delle quali incomprensibili, almeno in apparenza. La ragazza correva verso la stanza della mamma, cercava il rossetto. Scelse quello più lucido e più rosso, tornò nella sua camera, si mise davanti allo specchio e se lo passò in fretta sulle labbra, era una novità visto che non lo faceva quasi mai, era una ragazza acqua e sapone dal viso pulito. Ma quella apparteneva al passato, morta e sepolta, ora viveva una nuova Fia, tutta diversa, se in meglio o in peggio lo lascio giudicare al lettore. Mentre si passava il rossetto, si inumidiva ogni tanto le labbra con la punta della lingua. Esagerò col colore ma divenne bellissima. Sembrava una Lolita, una ninfetta da amare, una bambina col corpo da donna. Se in quel momento ci fosse stato un bravo pittore, avrebbe creato il ritratto più bello e seducente che sia mai stato fatto al mondo in tutti i tempi. La ragazza si alzò in piedi, cercò nel disordine di un cassetto una borsetta, poi un paio di scarpe nere quelle col tacco più alto, sostituì la giacca del pigiama con un top corto ed attillatissimo, tornò a guardarsi allo specchio e cominciò a sculettare, tenendo in una mano la borsetta e girandola con una mimica e uno sguardo superiore alla più esperta e brava delle prostitute e poi disse: “50 euro prego, io valgo tanto, sono carne fresca, una delizia, una rarità”.

Allo specchio la ragazza si giudicò divina, si stupì di se stessa e di quello che stava facendo e pensando, ma era sola, lei e soltanto lei, nessuno sapeva, nessuno vedeva. Immaginava che sarebbe potuta diventare ricca in poco tempo se solo avesse messo in pratica quella fantasia che stava realizzando per gioco. Ma non erano i soldi che la attiravano in quel momento, ma l’idea di poter essere considerata da tutti quello che, sia pure in fantasia, si sentiva di essere. Trovarsi in strada, vestita in quel modo a soli quindici anni, la faceva letteralmente impazzire di desiderio.

Si vedeva mentre saliva sulla macchina d’un cliente, immaginava di accontentarlo in tutto e per tutto, di intascare soldi e ancora soldi. Finalmente si sarebbe sentita importante, adulta, cercata, valorizzata, idolatrata, venerata. “La vera puttana sono io perché lo faccio per piacere mentre quelle che chiamano così lo fanno per i soldi e per necessità”,pensava la piccola Fia, e lo pensava con orgoglio. L’idea di vendersi per la strada così in quel modo e senza alcun pudore la eccitava ancor di più, rendendola letteralmente folle di desiderio.

Non resistette più, corse in lavandino e si lavò la faccia, togliendosi il trucco che colava lentamente come cera che si scioglie ed era ancora più attraente. Decise di farsi un bagno per togliersi di dosso il sudore e quei bollenti spiriti. Ma l’acqua sulla pelle nuda anziché calmarla la stimolava di più, pensava quanto sarebbe stato bello fare l’amore sotto la doccia o in una vasca da bagno. Era un’ossessione ormai, un continuo delirio senza fine e senza uscita.

Ritornò nella sua stanza, asciugandosi in fretta e furia, passando per la cucina vide un coltello, una strana idea le balenò nella sua testolina che sembrava quella di chi si sveglia ancora sotto l’effetto dell’anestesia, dopo un intervento chirurgico. “E se me lo conficcassi nella pancia? Così almeno metterei fine a questo tormento e avrei un po’ di pace”.Sapeva che non l’avrebbe mai fatto e non ebbe paura di averlo anche solo pensato anzi ci rise subito sopra, sapeva di essere, nonostante tutto, una ragazza di carattere forte e giudiziosa. Ma anche la persona più forte e sicura di tutto l’universo, può diventare una formica dinanzi all’istinto sessuale. “Perché morire per una stupidaggine del genere?,pensava Fia “A chi non piacerebbe scopare? Dovrebbero uccidersi tutti allora e il mondo finirebbe e poi se non si scopa non nascono i figli. Io sono nata per una scopata, anche i miei genitori l’hanno fatto, tutti l’hanno fatto, solo io non l’ho mai fatto e che male c’è a desiderare di farlo? Anzi sarei anormale se non lo desiderassi”. Questi pensieri di Fia, apparentemente puerili ed infantili e d’una semplicità elementare nella forma, avevano nel contenuto una profondità di vedute di alto spessore, ma una ragazza di quindici anni avrebbe potuto esprimerli solo in quel modo e con quelle parole. “E se mi facessi sterilizzare?”, continuava a pensare ironicamente Fia. Tornò a guardarsi allo specchio quasi seminuda, bellissima e parlando ad esso come se potesse sentirla, disse queste parole: “O specchio delle mie brame, sono io la più bella del reame, lo so e non c’è bisogno che me lo dica tu ma se solo potessi toccarmi, non posso essere sempre e solo io a farlo”. Lo specchio ovviamente non rispose ma le rimandò indietro la sua immagine più seducente che mai. In quel momento Fia avrebbe voluto essere brutta, grassa, piena di lentiggini, con baffi e cellulite, forse non si sarebbe eccitata col proprio corpo e non avrebbe avuto tutti quei pensieri, avrebbe raggiunto la pace dei sensi, “Forse è per questo motivo che alcune si fanno monache”, pensava ridendo. Forse sono malata e devo curarmi. Devo parlare con uno psicanalista. Così mi farebbe stendere sul suo lettino ed io lo provocherei e mi farei scopare da lui. Ecco, ci risiamo. Non è possibile che il sesso entri in ogni cosa. E se avessi il demonio in corpo? Forse è meglio chiamare un esorcista ma mi scoperei anche lui”. D’un tratto le venne in mente un’idea che la scosse subito. Vide il computer, si ricordò di avere l’abbonamento per navigare su internet 24 ore su 24, lo aveva fatto suo padre che lo utilizzava per lavoro, e lo accese. Il suo disegno era quello di entrare in quelle famose chats per trovare qualcuno con cui poter dialogare di cose erotiche, ovviamente, tanto lei avrebbe mantenuto l’anonimato senza essere né vista né riconosciuta e avrebbe potuto confessare i suoi tormenti e magari fare l’amore via telematica, anche quella poteva considerarsi una fantasia e lei era la regina delle fantasie.

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L’idea di dialogare di cose intime con uno sconosciuto, la prendeva moltissimo. Questo eccitante progetto, però, finì sul nascere. Presa dall’enfasi di quel pensiero, aveva dimenticato che le sue scarse conoscenze informatiche non le avrebbero permesso di farlo. Né poteva chiedere l’aiuto di suo padre per ovvi motivi. Decise di non arrendersi e di usare lo stesso internet limitandosi a quello che sapeva fare. Tutta eccitata, e non era una novità, cerco sul computer un motore di ricerca e digitò le parole: sexy, porno, hard. Questo le venne più facile. Ora una infinità di immagini oscene peggio delle sue fantasie erotiche, scorrevano nel computer e, cosa più tragica, nella mente di Fia. Quelle strane immagini che prima lei non avrebbe mai esaminate perché giudicate schifose, ora l’attiravano terribilmente, aumentando a dismisura la sua libidine: “Sono tutti malati questi che si vedono nel computer?”, pensava. “Questi si divertono, mamma mia, ma che fanno quelli e quelli? Tutti al mondo lo fanno, solo io no!”. Si immaginava di essere lei al posto di ogni donna che vedeva e la invidiava. Le sarebbe piaciuto fare l’attrice porno e distribuire al mondo intero tramite internet le sue foto di nudo in modo che tutti potessero desiderarla ed eccitarsi col suo corpo. Sognava ad occhi aperti di fare un calendario. Era arrivata sul punto del non ritorno, e stava cominciando ad accarezzarsi le parti intime, quando sentì il rumore dei passi dei suoi genitori che stavano tornando. Chiuse in fretta il computer, cercò di sistemarsi come meglio poteva, per fortuna si era tolta il rossetto e corse ad aprire la porta. Si trovò davanti la mamma che la guardò e colse subito in quel viso stravolto qualcosa di strano e misterioso, ma non avrebbe mai potuto capirne il motivo.

Le disse soltanto: “Fia, ti senti bene? Va tutto bene?”. Lei rispose subito: “Sì mamma certo che va tutto bene, non c’è nessun motivo per cui debba andare male, non preoccuparti, c’è troppo caldo, non lo sopporto, non si respira”. Sembrava, in quel momento, essere tornata la bambina di prima, quella che i genitori conoscevano e ritenevano che fosse ancora. In verità il caldo Fia lo sentiva davvero, ma era un altro tipo di caldo che neanche se si fosse gettata in un mare ghiacciato del polo nord, avrebbe potuto eliminare. E pensare che la ragazza si era sempre confidata con la madre, non le aveva mai nascosto nulla, non aveva segreti di nessun tipo, era una ragazza troppo tranquilla. Avrebbe voluto aprirsi con lei raccontandole del dramma intimo che stava vivendo ma non trovava il coraggio. Come avrebbe potuto farlo? Con quali parole? Come avrebbe potuto rivelare tutte le sue sfrenate fantasie a una signora all’antica e di grande moralità quale era sua madre? Cari lettori, devo dirvi con tutta onestà che, pur sforzandomi, non so se Fia avesse fatto bene a non dire nulla alla madre o se invece l’avrebbe dovuto fare. In ciascuno dei due casi avrebbe sofferto qualcuno. Si sarebbe sentita meglio Fia ma sarebbe morta la madre se l’avesse detto, avrebbe sofferto in silenzio la ragazza ma sarebbe stata tranquilla la madre, nel secondo caso. Comunque se Fia non l’aveva fatto, oltre alla mancanza di coraggio, era soprattutto per il grande amore verso la madre, non avrebbe voluto ferirla così bruscamente, ne avrebbe avuto il rimorso e si sarebbe sentita doppiamente in colpa.

Penso cari lettori, che all’origine di questo dramma familiare, vi sia l’assoluta mancanza di dialogo tra genitori e figli. Si può parlare di tutto ma quando si tocca la sfera sessuale, subentra il tabù che blocca tutto. Se Fia avesse potuto parlare di questo argomento del tutto naturale, liberamente con la propria madre sin da piccola, tutto questo non si sarebbe sicuramente verificato. Gli adulti sono autorizzati a insegnare tutto ai minori, la storia, la geografia, l’educazione, tutto tranne il sesso. Dopo aver dato quelle risposte sbrigative alla madre, Fia corse nella sua stanzetta, si sentiva terribilmente sola e smarrita nonostante la sua bellezza, nonostante i suoi quindici anni. Non poteva aprirsi con nessuno, neanche con i genitori che erano le persone più care che avesse al mondo e che l’avevano vista crescere. Chiuse la porta a chiave e si seppellì lì dentro nel suo mondo, con le sue cose e con la sua tristezza. Si gettò sul letto a pancia in giù, appoggiando la testa da un lato sul cuscino e poi pianse, pianse, pianse e ancora pianse disperatamente. Se non poteva sfogarsi con nessuno con le parole, le restavano pur sempre le lacrime per poterlo fare. Ora la donna sensuale era diventata bambina, aveva riacquistato la sua vera età, solo per un momento, ma almeno l’aveva riacquistata.

 

… la fine della cicogna

Entrarono in fretta nell’abitazione senza neanche chiudere la porta. Fia era troppo decisa, sapeva di non poter perdere molto tempo, aveva calcolato tutto, era quello il momento giusto, ora o mai più e così rompendo gli indugi disse: “Voglio fare l’amore con te, Mosè!, voglio perdere la mia verginità!”. E lo disse con un tono così deciso e sicuro da sorprendere anche se stessa. Mosè sbiancò, si sentì di colpo in paradiso, poi all’inferno, cominciò a sudare, a tremare, a respirare convulsamente, per un attimo pensò di morire e trovò la forza per dire soltanto: “Anch’io sono vergine”.

Sapere che quell’uomo non avesse mai fatto l’amore con nessuno in 65 anni e che lei sarebbe stata la prima, in altre circostanze l’avrebbe sicuramente scioccata ma, in quel momento, lei non ci fece neanche caso, impegnata come era a portare a termine la sua missione.

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Fece tutto lei, la ragazza ora sembrava la più grande professionista del sesso pur essendo anche per lei la prima volta. Ma l’istinto è superiore a ogni tecnica e sa guidare nella giusta direzione. Ora la ragazzina pareva molto più grande e matura del vecchio. Afferrò la mano di lui con la sua dicendogli semplicemente: “Vieni”, e lo condusse dritto verso il letto. Lui si lasciò guidare come un automa restando con la bocca aperta più impaurito che eccitato. La ragazza aprì in fretta la porta della, chiamiamola bonariamente, stanza da letto. Vi era un odore nauseante di rinchiuso e di muffa. Il letto, pieno di polvere e formiche, era più sporco che mai, perfino il cuscino si presentava male, non vi erano lenzuola né coperte, forse le aveva tolte Mosè per il troppo caldo. Ma a Fia tutto questo non importava. Poteva essere un letto fatto di urina e melma; poteva essere ricoperto di fiori e d’argento, sarebbe stata per lei la stessa cosa. Era altro che lei cercava, che lei voleva. Fia chiuse la porta, si sdraiò su quel letto, prima si alzò la maglietta sino al collo lasciando scoperta la parte che dal reggiseno arriva sino all’ombelico. Poi si alzò la minigonna lasciando libera quella che dalle mutandine arriva sino ai piedi. Si tolse in fretta le scarpe e quindi anche le calze e rimanendo in quel modo a faccia all’aria, si rivolse a Mosè che guardava incredulo e ammutolito, dicendogli: “Fai di me quello che vuoi, prendimi, scopami, amami”. Una scena così non la si può limitare descrivendola in un libro. Soltanto guardandola dal vivo, le si può rendere giustizia. Anche il più grande scrittore di tutti i tempi non sarebbe in grado di sostituire la visione con le parole e forse neanche capace di entrare in profondità nel corpo e nella mente di quel vecchio e di quella ragazza. La giovanissima ragazzina distesa, abbandonata sul letto con gli occhi un po’ chiusi e un po’ aperti, era bellissima, col suo corpo in penombra, in bilico tra innocenza e peccato, tra inferno e paradiso. Neanche il più inflessibile giudice d’un tribunale, o il più convinto assertore contro la pedofilia, neanche un santo, neanche un angelo, avrebbe potuto resisterle e non desiderarla. Mosè rimase sbalordito a guardarla. Avrebbe voluto farle mille complimenti, dirle mille volte grazie, renderla partecipe di quello che lui provava dentro. Ma nessuna voce poteva spiegare quelle sensazioni. Così non parlò. Timido, imbarazzato, totalmente incapace di effettuare la benché minima mossa, rimase così in estasi a contemplarla come un innocente bambino che vede apparire la Madonna per la prima volta. Ma lei non era una visione né un sogno, era vera, in carne e ossa, pronta per essere toccata, baciata, venerata, amata. La ragazza, sconvolta nei sensi e nell’anima di trovarsi lì ad offrire le sue innocenti nudità allo sguardo d’un vecchio, aspettava impaziente da lui un gesto, un segno ma il vecchio rimase impietrito come una statua senz’anima, dopo un breve tempo che alla ragazza era sembrato un’eternità, riuscì a dirle soltanto sottovoce: “Che devo fare?” A quel punto la ragazzina diventò sua madre. Prese dolcemente la mano destra di quel vecchio e la portò sul suo giovane corpo, guidandola con la sua, accompagnandola dappertutto come un’isola vergine da esplorare, dalle dita dei piedi sino alla punta del capello più alto. Non sono in grado, cari lettori, pur sforzandomi, di trovare le parole adatte per spiegare quello che provavano entrambi in quel momento. Certe emozioni, vanno vissute in prima persona, solo allora ci si può rendere conto. Nessun tribunale, nessuna censura, nessuna morale potevano annullare quelle emozioni così intense e se anche l’avessero fatto, avrebbero commesso un delitto. Il criminale non era il vecchio e neanche la ragazza, ma chi impedirebbe loro di farlo. Fia, poi con le sue mani, spinse dolcemente la testa del vecchio sopra di lei, facendo scorrere la lingua di lui per tutto il corpo. Fu a quel punto che sentì il bisogno di togliersi ogni indumento di dosso, restando completamente nuda alle carezze e ai baci del vecchio. Poteva arrivare di colpo Dio o Satana, un giudice o la polizia, il presidente della Repubblica o il papa in persona, loro due non si sarebbero mossi da quella posizione e avrebbero continuato imperterriti ad amarsi, non avrebbero potuto farlo pur volendolo. La ragazza, più audace che mai, spogliò il vecchio che rimase nudo davanti a lei. Era impressionante la differenza fra quei due corpi, ma gli opposti spesso si attraggono. Se fossero stati entrambi bellissimi, forse sarebbe stato meno eccitante. Il fascino del proibito, del peccato rendevano quel momento ricco di emotività e sensualità.

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Era la danza della trasgressione, il trionfo della libertà assoluta. Ora i due giacevano in ombra, su quel letto, nudi. Lei sdraiata, lui inginocchiato davanti a lei. Fia ora osservava quel corpo di vecchio così diverso dal suo e le fece un po’ pena, capì dentro di sé la fortuna di essere giovani, la bellezza della giovinezza. Poi i suoi occhi si posarono su quel membro penzolante, le fece tenerezza, non le fece paura. Era la prima volta che ne vedeva uno in vita sua. Istintivamente allungò la mano e la posò su di esso. Ma fu un gesto sollecitato dalla curiosità e non dal desiderio. La ragazza si trovò in mano quella nuova e sconosciuta creatura e le sembrava di toccare un piccolo serpentello, morbido e caldo, simile ad un bastone di velluto. Il contatto con quelle mani calde e lisce, procurò un effetto devastante sulla psiche dell’anziano che raggiunse di colpo un’erezione notevole da fare invidia a un dio greco bello, muscoloso e potente. La ragazza, avvertendo sul palmo della mano quell’incredibile cambiamento, si spaventò e lasciò quella presa.

Il vecchio capì che era il momento giusto, aveva vinto le sue paure, il suo imbarazzo. Cercò in fretta il suo pantalone e tirò fuori dalla tasca il preservativo ma con le mani tremanti non riuscì a metterselo e forse anche per non averlo mai usato prima in tutta la sua vita. Ancora una volta fece tutto lei, la piccola Fia guidata dall’istinto che è il migliore maestro, più di qualsiasi insegnante o scienziato. L’uomo si distese sul corpo della ragazza ma non fu capace di compiere l’atto, sia per l’inesperienza, sia per l’emozione che stava riprendendo il sopravvento. Per l’ennesima volta, intervenne ad aiutarlo la ragazzina col suo istinto unito alla sua voglia. Aprì le sue gambe, riprese quel membro in mano e lo indirizzò lei stessa dove doveva andare, spingendo in avanti il bacino per favorirne l’operazione. La ragazza sentì solo un lieve dolore e non ebbe perdita di sangue. Non fu doloroso neanche per lui. La natura li aiutò entrambi per non guastare quel sogno. Il vecchio istintivamente cominciò a muoversi sopra di lei con dolcezza facendola gemere e sospirare ma anche lui non poteva fare a meno di emettere piacevoli lamenti. Con la mano destra appoggiata sul suo seno sinistro e con la sinistra sulle cosce e sulle natiche della ragazza, il vecchio aumentò il suo ritmo in un folle vertiginoso crescendo che coinvolse entrambi. Le sensazioni che quel membro le procurava dentro, erano molto più forti ed intense di quelle che si regalava da sola con le sue dita e ora lei si sentiva presa, amata, desiderata, si sentiva totalmente sua. Il vecchio, a sua volta, si trovava ormai in orbita, in un altro pianeta, fuori da ogni spiegazione umana e logica. Aveva aspettato 65 anni per farlo ma non aveva nessun rimpianto di aver atteso tanto. Anzi, se dovesse morire e rinascere un’altra volta in questa terra, aspetterebbe altri 65 anni pur di incontrare poi nuovamente la sua bellissima principessa Fia. Se in quel momento, fosse entrato lì dentro il papa e li avesse visti in quell’atto, avrebbe sorriso e li avrebbe benedetti.

Cari lettori, anche se quello che vi sto per dire vi sembrerà partorito da una mente folle, non posso non scrivervi che la scena di quel vecchio e di quella ragazzina che si amavano consapevolmente stringendosi l’un l’altra, era la più bella poesia che potesse esistere al mondo per mille motivi che non sto qui a enunciare per non sconvolgervi ulteriormente. I due raggiunsero l’orgasmo quasi simultaneamente e fu più bello ancora. Poi rimasero abbracciati e la ragazza decise in quel momento di ringraziare il vecchio facendo quello che non aveva avuto ancora il coraggio di fare. Avvicinò le sue labbra a quelle del vecchio e lo baciò appassionatamente come se si trattasse di un ragazzo della sua età. All’inizio avrebbe voluto soltanto sfiorarle ma poi la passione, unita al desiderio di baciare per la prima volta, la spinsero a unire la sua lingua a quella del vecchio, in una mescolanza di sapori e di saliva che stordì entrambi. La scena di una ragazzina di 15 anni che baciava appassionatamente un vecchio di 65 era pura armonia, il trionfo della vita, l’immortalità dell’anima che aveva il sopravvento sull’età del corpo. Quell’intenso bacio fu persino più bello del rapporto sessuale. Fino all’ultimo istante Fia dimostrò a Mosè la sua grandezza interiore, la sua comprensione, la sua dolcezza. Il vecchio e la ragazza avrebbero voluto restare ancora abbracciati ma tutto, nella vita, prima o poi ha una fine.

La ragazza guardò l’orologio: “È tardi, devo andare”, esclamò preoccupata.

I due si rivestirono in fretta senza dire una parola, non ve ne era bisogno, si erano già detti tutto. Il vecchio salì sul motorino, lei montò dietro e partirono verso quella villetta di Leonforte che li aveva fatti conoscere.

Quel vento che all’andata, alzando la gonna della ragazza, sembrava complice del demonio, ora compiendo lo stesso identico gesto, pareva agli occhi di lui un poeta che scriveva i suoi versi ispirati da un angelo. Per tutto il tragitto non parlarono, a volte il silenzio vale più di mille parole. Entrambi erano consapevoli che quello che era accaduto quel pomeriggio tra di loro, non sarebbe successo mai più, quella era stata la prima e l’unica volta.

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Le cose belle, nella vita, non possono ritornare. Avrebbero potuto farlo anche altre cento volte, ma non sarebbe mai stato bello quanto la prima.

Il vecchio e la ragazza desideravano entrambi che finisse tutto lì per conservare insieme, nelle loro menti e nei loro cuori, la poesia del ricordo di quella prima ed ultima volta. Arrivati in quella villetta, osservarono insieme quella panchina dove si erano seduti per la prima volta conoscendosi. Le avrebbero fatto un monumento se solo avessero potuto farlo. Si salutarono con un semplice “ciao” e senza darsi un nuovo appuntamento. Il destino che li aveva fatti unire, ora aveva deciso di dividerli per sempre. Si separarono così ma entrambi avevano una strana luce negli occhi che li rendeva simili nonostante avessero un’età così differente. Quella luce la potevano notare tutti ma nessuno sarebbe stato in grado di capirne l’origine. Quello era un segreto che apparteneva esclusivamente a loro due e a nessun altro e restò tale per tutta la vita. Nessuno seppe mai nulla. Fia tornò a scuola più matura e serena. Era una bella ragazza, avrebbe avuto tanti corteggiatori, magari si sarebbe innamorata di un bel ragazzo, si sarebbe sposata e avrebbe avuto tanti bei bambini che a lei piacevano tanto. Ma non aveva più fretta, aveva una vita davanti per essere felice. E lui Mosè riprese la solita vita di sempre, col suo immancabile motorino, col saluto di tutta la gente di Enna, con la sua chiesa di San Raffaele, il suo parroco padre Santino e tutti i parrocchiani che continuavano a riempirlo di regali e di elemosine.

A me, cari lettori, non resta altro che concludere questo mio libro sperando che non vi abbia deluso e che possa essere servito a qualcosa e a qualcuno.

 

LE OPERE SONO DEPOSITATE ALLA S.I.A.E.

CONTRASSEGNATE DAL NUMERO DI PROTOCOLLO 0603779

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VIAGGIO NELL’ANIMO DI UNO SCRITTORE: CLAUDIO CISCOuid_121fcbdcefb.580.0

Claudio Cisco è nato a Messina imagessafe_imagedove ha sempre vissuto. Malinconico e meditativo per natura, rivela sin da piccolo in trasparenza, una sensibilità profondissima ed una straordinaria vocazione per lo scrivere. Sospinto da un innato talento e da un’incessante ispirazione artistica che si alimentano progressivamente col trascorrere del tempo e con le esperienze di vita, segue parallelamente sia la strada della poesia, sia quella della narrativa, restando fedele ad un genere che richiama allo stile romantico e triste con notevoli slanci verso l’onirico e il misterioso, sempre attentissimo e portato verso introspezioni psicologiche

 in foto: CLAUDIO CISCO “ritratti d’autore”

 

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FIA — passo tratto dal libro “Il vecchio e la ragazza” di Claudio Ciscoultima modifica: 2013-01-11T08:45:07+01:00da claudiocisc1
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